«Era stato come fare un giro turistico. Avevo visitato tutte le redazioni milanesi e non era successo proprio nulla, non avevo venduto neppure una foto. Era immaginabile che dopo sei mesi di viaggio – India, Egitto, eccetera -, al ritorno, nessun settimanale italiano fosse interessato al mio materiale? Per me era stato un dramma che metteva in crisi tutto un sistema di vivere, una scelta, un modo di intendere il giornalismo. E poi a Milano c’era stata quell’accoglienza fredda, distratta, da “aspetti in salottino, il redattore capo è occupato” che mi aveva mortificato.
Ero rimasto con sole 9000 lire, che è molto meno di niente. Che fare? La pila di foto era lì davanti a me. Immagini senza senso, investimento senza costrutto, idee senza riscontro? Ero solo. Costretto a rimettere tutto in discussione.
Andai alla stazione per prendere il primo treno che mi riportasse a Roma. Mentre compravo un giallo adocchiai una testata di settimanale in lingua tedesca. Comprai il giornale, lo scorsi rapidamente e nel giro di pochi attimi decisi che la mia destinazione non era più Roma ma Zurigo. Giunsi in Svizzera senza i soldi per il ritorno.
Quella mia visita alla redazione di Schweizer Illustrierte assumeva il tono di una sfida. Sfidavo chi? Che cosa? Per primo me stesso, la mia paura cioè, il rischio di dover vendere una Leica a Zurigo per ritornare battuto a Roma. E poi sfidavo anche i giornali italiani, che giudicavo provinciali, snob, privi di interessi e di gusto».
Calogero Cascio