«Alla redazione di Schweizer Illustrierte la signorina che mi accolse fu molto gentile, volle vedere qualche foto e portò una busta con un servizio di là, dietro una porta marrone, poi ricomparve e mi invitò ad entrare.
Herr Maier si alzò a fatica dalla sua poltrona e mi venne incontro. Era grasso, enorme, lento, ma aveva gli occhi troppo vispi dietro le palpebre pesanti perché non mi accorgessi della sua sveltezza mentale.
Mi disse che era molto contento di vedermi, mi offrì un sigaro, un caffè e poi mi chiese dell’Italia, di certe spiagge del Sud, di Roma, ecc. E mentre parlava tranquillo, guardava le fotografie, parlava e sfogliava foto così come se niente lo interessasse veramente se non quella conversazione amichevole, quel dire cose forse inutili e carine. E io lo guardavo e rispondevo di tanto in tanto e di tanto in tanto lui mi chiedeva notizie di qualche foto, così, come per cortesia.
E fu allora, mentre gli spiegavo di un certo rito religioso sul Gange, in India, che mi sentii a casa mia, fra persone civili, come ero abituato nella mia vita privata da sempre. Come non mi ero certo sentito a Milano nelle redazioni rococò dei grossi editori italiani, dove la battuta greve aveva dato a ogni incontro uno stile pesante.
Quando uscii dalla redazione di Schweizer Illustrierte avevo venduto cinque servizi e avevo con me circa un milione e duecentomila lire. Ancora adesso, Herr Maier, quando mi incontra, mi chiede il perché io lavori più per la stampa straniera che per quella italiana. E io in questi casi gli accenno a una certa incomprensione, a una difficoltà, e lui mi guarda incuriosito, e non capisce bene».
Calogero Cascio