Calogero Cascio è stato uno dei più importanti fotoreporter italiani tra gli anni ’50 e gli anni ’70 grazie alla sua sensibilità nel catturare momenti significativi della storia e della società dell’epoca attraverso le sue immagini iconiche. Il suo lavoro ha lasciato un’impronta duratura nel panorama contemporaneo della fotografia umanistica e documentaristica.
Calogero Cascio nasce il 20 ottobre 1927 a Sciacca (Agrigento), in Sicilia, dove trascorre la maggior parte della sua infanzia e adolescenza tra la cittadina natale, Castellammare del Golfo, luogo di origine della famiglia paterna, Trapani e Palermo.
Stabilitosi a Roma a ventidue anni, durante gli studi universitari in medicina, iniziati a Palermo, si interessa alla letteratura e al teatro.
Subito dopo la laurea in Medicina e Chirurgia comincia a praticare la professione in alcune delle borgate più povere della capitale e ad avvicinarsi alla fotografia, realizzando le sue prime immagini in Sicilia, terra con la quale avrà sempre un viscerale rapporto conflittuale di amore e odio.
«Non posso spiegare come e perché, a trent’anni esatti, decisi di cambiare tutto e diventare fotografo», racconta Cascio. E infatti intraprende la carriera di fotoreporter indipendente entrando in contatto con il mondo dell’editoria che, in quegli anni, vede la nascita, in Italia, di importanti periodici illustrati come “Il Mondo”, diretto da Mario Pannunzio dal 1949 al 1966, o “L’Espresso”, fondato nel 1955 da Arrigo Benedetti ed Eugenio Scalfari.
Proprio con “Il Mondo” Cascio stabilisce un rapporto privilegiato, un continuo e vivace scambio di opinioni con il suo direttore che, a suo parere, tende a pubblicare «foto belle, ma poco “vigorose”», nelle quali è assente lo spirito del vero fotogiornalismo, il racconto della storia e dei suoi conflitti, il cui simbolo era la guerra del Vietnam. Molte sono le immagini di Cascio pubblicate su “Il Mondo” tra il 1957 e il 1966, oggi conservate nel fondo fotografico del settimanale presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, costituendo uno dei principali “corpus” fotografici dell’autore siciliano, oltre all’archivio Cascio.
Negli anni Sessanta realizza numerosi reportage in Italia, Europa, Medio ed Estremo Oriente (Egitto, Israele, India, Nepal, Vietnam del Sud, Laos, Thailandia) e Sudamerica (Brasile, Perù, Colombia, Venezuela).
Insieme ai fotografi Caio Garrubba e Antonio e Nicola Sansone, con i quali condivide l’ideale del reportage giornalistico come azione “politica“, Calogero Cascio fonda nel 1963 l’agenzia Realphoto, contribuendo con Ermanno Rea, Plinio De Martiis e Franco Pinna alla ‘scuola romana’ del fotogiornalismo.
La sua indagine “sociale“ e la tensione di testimone degli eventi lo portano a esplorare e indagare campagne, strade e aree periferiche delle città, riportandone delle narrazioni visive – delle picture stories – di impronta antropologica, sociologica e politica, caratterizzate però da uno sguardo empatico, capace di cogliere in ogni contesto il valore universale dell’uomo. È quello stesso sguardo che lo guida fin dalle sue prime fotografie siciliane, immagini di grande efficacia evocativa nel segno della fotografia documentaria, ma anche “umanista“, che negli anni Cinquanta indaga il Meridione italiano, con una “passione civile“ che trova nella fotografia il mezzo per rivelare con lucidità intellettuale la realtà che si presenta allo sguardo, rendendo Calogero Cascio uno dei più importanti fotoreporter dell’epoca.
Tra le macchine fotografiche che preferisce usare vi è la Leica M2, con tutta la sua gamma di ottiche, e la Nikon Flex per l’utilizzo del teleobiettivo da 300; per le pellicole del bianco e nero rimane fedele alla Kodak Tri X.
L’ideale di «un cambiamento radicale delle strutture della società» nutre il racconto dei suoi quattro fotolibri – Lazzaro alla tua porta (1967), Quando io grido a te (1973), Quando dico Speranza (1974), Vangelo a caso (1975) -, dove la fotografia diventa lo strumento per una narrazione visiva che riconosce nelle diverse condizioni di vita dell’uomo, nei divari sociali e nella sofferenza, il grido inascoltato dell’insegnamento cristiano.
I suoi servizi fotografici, spesso accompagnati da suoi testi, sono stati pubblicati nei più importanti quotidiani e periodici americani ed europei degli anni Sessanta e Settanta come “New York Times”, “Life”, “Look”, “Stern”, “Paris Match”, “Sunday Times”, “The Observer” e, in Italia, “Il Mondo”, “L’Espresso”, “L’Europeo”, “La Stampa”, “Paese Sera”, “Vie Nuove”, “Tempo”, “Orizzonti”. Sue fotografie sono state esposte presso il Museum of Modern Art (MoMa) di New York e in varie mostre collettive in tutto il mondo e fanno parte di importanti collezioni pubbliche e private.
Nei primi anni Settanta affianca alla sua attività di fotoreporter quella di consulente per la comunicazione per poi scegliere, nel 1973, il mestiere di editore, che lo occuperà per tutto il resto della sua vita.
Sempre sensibile e attento alle varie forme d’arte, alla bellezza e all’armonia, dall’inizio degli anni Ottanta intraprende un percorso artistico legato prevalentemente alla pittura e alla scultura, utilizzando diverse tecniche. Segue con grande interesse il lavoro di alcuni artisti, soprattutto siciliani, nei cui studi passa molto tempo in un continuo scambio tra apprendimento e suoi suggerimenti.
I suoi quadri e le sue sculture sono oggi custoditi presso collezioni private.
Muore a Roma il 30 marzo 2015.