«Da qualche mese mi aggiravo per le stradine della vecchia Roma alla ricerca di belle immagini. Belle immagini per me, a quei tempi, erano tutte quelle che ritraevano l’umanità immersa in una tenebrosa solitudine: uomini, vecchi, donne, bambini purché disperatamente soli, unica compagnia la loro angoscia.
Facevo un altro mestiere a quei tempi, ma ero curioso di sapere se quelle mie fotografie sarebbero state all’altezza dell’attenzione di un giornale e scelsi “Il Mondo”. Il settimanale era diretto allora da Mario Pannunzio, e per essere un giornale di alto livello culturale e di grande prestigio, rappresentava per me un ostacolo difficile ed eccitante.
Selezionai dodici fotografie, le feci stampare nel formato 18×24 e le portai alla signora Bice, che era la segretaria di redazione. Lei, appena le vide, storse il naso, ma le prese lo stesso e le portò a Pannunzio, che era nella sua stanza. Quando ritornò le aveva ancora tutte in mano, mi guardò negli occhi e mi liquidò con un brusco “No”, che per me fu peggio di una pistolettata.
Mentre ferito quasi a morte e offeso scendevo le scale della redazione, mi sentii chiamare. Era un amico giornalista che stava andando al “Mondo” per proporre dei servizi e a lui raccontai il perché della mia infelicità e gli mostrai le fotografie. “Troppo piccole – mi disse subito -, troppo piccole, devi farle stampare più grandi, su cartoncino, non smaltate. Così come sono non si capisce niente. E poi tutti i fotografi che si rispettano presentano stampe di grandi dimensioni. Prova, non perdi nulla”.
Provai a diventare un fotografo che si rispetta e con le stesse dodici fotografie, ma stampate nel 24×36 su cartoncino, dopo una settimana esatta tornai al “Mondo”. La signora Bice mi sorrise e Pannunzio comprò sette fotografie su dodici. Di queste sette, quattro finirono in prima pagina. Ecco come ho cominciato».
Calogero Cascio